Un ragazzo che ha nel proprio bagaglio culturale studi classici sa ben distinguere il Mytos dal Logos. Il primo è narrazione, affabulazione, imposizione dall’alto; il secondo è ragionamento, calcolo, illuminismo, opportunismo, imposizione dal basso. La piramide dicotomica alto-basso rappresenta l’eterno scontro tra l’immateriale e il materiale, lo spirito e la terra. Licurgo imponeva col mito le proprie leggi agli Spartani, Solone al contrario proponeva le proprie agli Ateniesi. “Gli dei mi hanno dato queste leggi” disse il primo, “Secondo me queste sono per ora le migliori leggi” ribatteva il secondo. Due sintesi estreme del mondo, due poli opposti che scontrandosi con le leggi del magnetismo non dovrebbero mai attrarsi. Ebbene oggi, in questa terra di mezzo grondante sangue, è a queste due categorie “ classiche” che occorre rifarsi. Il malcostume politico e sociale si combatte con un approfondito sviluppo culturale. Non importa qui scindere la destra dalla sinistra, ad ognuno il suo perimetro. Nel tempo in cui il Logos ha prevalso sul Mytos, perfino negli ambienti più sacrali del pianeta, l’appello che si innalza da svariate penne intellettuali o intellettualoidi è quello di un ritorno alle origini. Nello specifico Marcello Veneziani non più tardi di un’estate fa auspicava per la cultura della destra, stretta in una soffocante camicia di forza viste le molteplici declinazioni di cotal definizione, un ritorno ad Itaca. Ulisse e Omero, la lira e i rapsodi, la pietrosa Itaca e i porci di Circe. Soluzione accettabile? Per uno che conosce a memoria ogni minimo passo di quel decennale viaggio tutto ciò non può andar bene. Ulisse sfidava gli dei, depredava città, accecava ciclopi, vendicava il proprio onore e ripartiva andando incontro a una dolce morte. E’ il mito del calcolatore che sfida col proprio ingegno gli astri. Il buon padre di famiglia che tra una Circe e una Calipso, lasciando da parte le ancelle dei dieci anni d’assedio, anticipava di qualche millennio la riforma del nostro diritto civile. Capiamo dunque che l’eterno canto del cieco Omero si scontra con un roccioso muro del limite. Rimanendo nell’alveo della cultura di destra, perché non riscoprire Tolkien? Il Signore degli anelli è ormai un classico, un Mytos appunto. Le avventure dei giovani Hobbit calzano come un guanto nell’attuale alba dei tempi. L’anello del potere ha corrotto il re degli uomini, Isildur, conducendolo alla morte. Ha consumato, fino a ridurlo a un mostro, Smigol. Ha reso avido un custode delle antiche arti sacre come Saruman. Ha causato guerra e morte ma trova in quattro mezz’uomini dal cuore puro i più fieri oppositori. Esiste una Contea dal verde incontaminato, dai bei fiumi e dalle villette in legno, dove scorrono ettolitri di birra e dove gli abitanti lavorano e gioiscono della vita. E’ il mito della comunità. Questa comunità pagherà dazio a causa degli uomini che, rei di non aver gettato l’anello del potere nelle fauci del monte Fato scateneranno una nuova guerra contro le forze oscure di Mordor. Occorrerà un’altra alleanza tra tutti i popoli della Terra di mezzo per condurre alla pace il mondo. E allora ritroviamo il saggio Re degli elfi Elron, unico testimone del peccato originale degli uomini, una figura che trasposta nell’oggi rappresenta coloro i quali, ravvedendosi, tentano di persuadere i Re dalla corruzione dell’anello. L’invito è quello di gettarlo nel magma incandescente dal quale è venuto, ma quella eco risuona nel vuoto dello spirito e delle pareti della montagna. Il riscatto degli uomini verrà, arriverà un ramingo delle terre selvagge a reclamare il trono di Gondor: Il Ritorno del Re. Un re che si inchinerà di fronte ai piccoli hobbit sulla cittadella di Minas Tirith , che offrirà la sua spada per difenderli, che non demorderà mai anche nelle battaglie più dure. Un giardiniere e un ragazzotto alti non più d’un soldo di cacio, diversi dal resto della popolazione, riusciranno in ciò in cui anche i più grandi hanno fallito. Un mago, un nano, un elfo e un uomo: La compagnia dell’Anello. La Contea, il ghetto, il polo escluso che salva l’intera terra di mezzo. E’ il mito, è la spiritualità del racconto, ma è anche una speranza per rimanere in piedi in questo mondo di rovine, nel quale i governanti hanno ceduto di fronte alle lusinghe del potere. I più coraggiosi, gli hobbit, coloro che dal nulla saranno chiamati al compimento di questa missione sapranno dare nuova luce al giorno e renderanno la notte meno buia. Riscopriamo dunque il mondo del fantasy per trovare le risposte che cerchiamo. Rispolveriamo la pipa di Tolkien e lasciamo ai professori del ginnasio la lira di Omero e il cavallo di Ulisse.
Dario Stefano Lioi
(9 Ottobre 2012 su tribunaitalia.it)